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#hosceltomilano, «Io venditore di rose e ora sommelier»: il viaggio di Saif simbolo di riscatto

Da ragazzino vendeva i fiori per strada, arrivato dal Bangladesh da solo e senza possedere nulla. Oggi lavora in un ristorante che l’ha assunto e lo sta formando come sommelier. Saif Uddin, 26 anni, sorride. Esile, occhi fiduciosi. La sua storia la racconta volentieri, ma partendo dal presente. «Ho preso il diploma di terza media e vorrei parificare anche gli studi del liceo che ho fatto in Bangladesh, ero molto bravo in matematica. Ho un lavoro che mi piace, abito in zona Niguarda con tre amici in una casa spaziosa abbastanza per farci stare bene tutti». A fatica, Saif si è guadagnato tutto questo. «Ogni mattina mi alzo, prendo il motorino e vengo a lavorare al Ratanà, in zona Isola. Nel pomeriggio vado alla scuola per sommelier, poi torno al ristorante e ci resto fino all’una di notte». Ritmi faticosi. Pesano? «Non mi lamento — risponde —. Milano mi ha dato l’occasione della vita, mi ha insegnato a lavorare».
Il manager Mattia Mor l’ha scoperto per caso e subito coinvolto nel suo progetto #hosceltomilano. «È una delle storie personali più belle che ho sentito», ha detto, registrando il suo video con gli altri 130 che compongono il mosaico di testimonianze sulle opportunità che Milano ha regalato a chi le ha potute, o sapute, raccogliere. Per Saif l’inizio è stato molto difficile. In Bangladesh la sua è una famiglia di contadini. I genitori non riuscivano a mantenere i tre fratelli. Così, a 18 anni, Saif è partito ed è arrivato a Milano, dove un connazionale all’inizio lo ha ospitato. Un monolocale in cinque. «Era dicembre, prima di Natale. Non sapevo una parola di italiano, non avevo i documenti, e neanche la giacca e i guanti. Mi svegliavo all’alba, correvo all’Ortomercato a prendere i fiori, toglievo tutte le spine dalle rose e andavo in giro a venderle. Me lo ricordo, quel primo mese. Nevicava tantissimo». Non sono tutti gentili, con chi vende per strada. «Mi vedevano ragazzino magro, senza niente. Qualcuno mi allungava delle monete e non voleva i fiori in cambio ma io davo lo stesso loro una rosa. Nella vita ci vuole eleganza, dignità. Io facevo un lavoro e speravo che quei fiori servissero a qualcuno».
Lungo la strada, nel quartiere Brera in cui Saif girava di sera con le sue rose, dopo qualche mese lo nota il proprietario di una pizzeria. Gli propone di fare da lui una settimana di prova come lavapiatti. Saif se la cava egregiamente. Il ristoratore, colpito, lo tiene con sé al lavoro per un altro mese, dopo qualche tempo lo «promuove» aiuto cuoco. «Il mio sogno era servire in sala ma invece dovevo rimanere nascosto per non mettere nei guai nessuno, visto che non avevo i documenti per stare in Italia», dice lui. Nel 2012, dopo due anni a Milano, una sanatoria gli permette di mettersi in regola. A quel punto però entra in crisi la pizzeria in cui aveva trovato lavoro. Il ristoratore dimezza il personale, lo lascia a casa. Saif torna alle rose. «In un internet point ho scritto il curriculum, quello che guadagnavo con i fiori lo spendevo per farne tantissime copie». Ne ha distribuiti a centinaia in giro, personalmente. Dal quartiere Brera, è arrivato anche all’Isola. «Ho incontrato Cesare e Federica, i proprietari del Ratanà. A loro devo dire tutta la vita: graziemente», dice, inventandosi una crasi tra «grazie» e «veramente». «Mi hanno dato fiducia. Mi hanno incoraggiato a migliorare studiando». Saif si volta verso il Bosco Verticale, alza la testa e guarda in alto. Hai un sogno? «Continuare così».

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